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Stili di Vita


Stare bene, vivere in salute. Un ambizioso obiettivo possibile da raggiungere comprendendo che il benessere è legato ad un delicato connubio di più fattori: alimentazione sana, attività fisica, ridere, amare, fare ciò che piace e non trascurare mai il legame esistente tra mente e corpo.

Dare più vita agli anni piuttosto che più anni alla vita.

Un concetto di assoluta rilevanza, considerando che l’individuo è inserito in un contesto di valutazione olistica, ove corpo e mente sono un tutt’uno, in perfetto equilibrio reciproco e che pertanto opportune strategie di intervento preventivo devono interessare entrambi i comparti.

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Neuroni

Neuroni nuovi allenando i muscoli
Neuroni sani allenando il cervello

Mai più senza

NGF e BDNF, le proteine garanti di nuovi neuroni in ottima salute

Allenare la mente

Stili di vita ed esercizi

Il cervello sano

È goloso di Mediterraneità e non solo...

Quando?

Le ore migliori per allenare i neuroni
con le risorse sul territorio e in rete

Neuroni nuovi allenando i muscoli
Neuroni sani allenando il cervello


«Un’auto col freno a mano tirato»: questo è il cervello di chi crede che l’età cancelli capacità fisiche e potenzialità cognitive.
«Nulla di più errato: potenziamento cognitivo e muscolare sono sempre a portata e si completano. Basta crederci e provare».
«Ci provo e ci riesco, perché ci credo».
«Ma i risultati si ottengono solo con programmi di stimolazione mirati per le diverse età».
Due esempi di successo tra tanti: Mariagrazia (nome fittizio), 71enne incoraggiata a scrivere, nonostante ricordi scolastici di brutti voti, pubblica nel giro di due anni un volume di racconti, premiato a un concorso cittadino; Susanna, coetanea di Mariagrazia, riscopre dopo tutt’una vita il pianoforte, si iscrive al Conservatorio e conquista il diploma del 10° anno.


Indirizzare la cognitività già alla scuola materna.
«Già alla scuola materna si ottengono risposte eccellenti. I bambini sono un concentrato di potenzialità: programmi di gioco cognitivo su misura, per 1-2 ore a settimana e per sole 5 settimane, migliorano, rispetto al gioco libero, l’attenzione, il ragionamento, infine memoria e creatività. Un nostro progetto-pilota, su 300 alunni di III-V elementare di cinque scuole di Monza e provincia, divisi in due gruppi, ha confermato che 5 sessioni di 1,30 ore a settimana sono sufficienti per incrementare del 20% in media il rendimento cognitivo globale di chi è coinvolto, rispetto a chi è lasciato liberi in attività non strutturate».

Attività fisica e stimolazione cognitiva: come si completano?
«È stato dimostrato che fare jogging regolarmente per 30-45 minuti stimola del 10% circa la neurogenesi nell’ippocampo: grazie all’attività fisica, questo nucleo del cervello, centrale per la memoria, si arricchisce di cellule nuove di zecca. La ricetta quindi è: attività fisica per rifornire il patrimonio cerebrale di cellule nuove, più stimolazione cognitiva per mantenerle fresche, attive e in salute, capaci di sviluppare connessioni lunghe e ramificate con i neuroni di altre aree cerebrali».

Che cosa accade con altri sport, di squadra, di coppia, individuali?
«Ogni sport stimola competenze cognitive diverse: calcio e rugby, per esempio, alternano tempi di massima concentrazione, velocità di elaborazione e controllo del movimento con tempi di riflessione. Non così basket e pallavolo, dove il ritmo di gioco esige concentrazione, velocità e controllo continui. Traslando queste considerazioni agli altri sport (tennis, atletica, danza) si capisce come la stimolazione cognitiva e l’attività muscolare coinvolgano aree cerebrali diverse in modi diversi, ottenendo vantaggi a largo spettro».

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Mai più senza: NGF e BDNF, le proteine
garanti di nuovi neuroni in ottima salute


L’NGF (nerve growth factor, o fattore di crescita neuronale), la proteina del Nobel 1986 a Rita Levi Montalcini e Stanley Cohen, va a braccetto con il BDNF (brain derived neurotrophic factor, o fattore neurotrofico di derivazione cerebrale), scoperto negli anni Ottanta da Yves Bard al Max Planck Institute di Monaco. Insieme, queste proteine promuovono la nascita di nuovi neuroni e la crescita dei dendriti, i fili che fanno dialogare i neuroni nelle diverse aree cerebrali. I compiti sono ben assegnati: senza BDNF la nascita di nuovi neuroni è quasi assente e senza NGF i dendriti non si allungano.

Non solo: il BDNF è indispensabile anche per formare e fissare i ricordi. Meno BDNF uguale meno memoria. Ma c’è un unico metodo per non restare mai a corto di entrambe: stimolarne la sintesi attraverso l’allenamento, sia cognitivo, sia muscolare.

Che cosa accade a BDNF e NGF nel tempo?
«Con gli anni il cervello rallenta la velocità di elaborazione delle informazioni, riduce la memoria a breve termine (“dove ho messo le chiavi di casa?”) e le capacità di concentrazione. Perdiamo neuroni dai 30 anni e le scorte di BDNF e NGF vanno continuamente ripianate». «Le contromisure sono tre: neurogenesi, neuroplasticità e riserva cognitiva. L’apprendimento di una nozione (allenamento cognitivo), o di un nuovo movimento (attività fisica) stimola il BDNF che sostiene la nascita di nuovi neuroni (neurogenesi); anche l’NGF si attiva, promuovendo i collegamenti sia tra le nuove cellule sia con quelle già presenti (neuroplasticità); la trama del tessuto cerebrale si infittisce (alta riserva cognitiva) ed è più resistente agli eventi stressogeni della vita, fisici o psicologici».

Quali dimostrazioni di efficacia abbiamo in anziani e grandi anziani?
«Più che soddisfacenti, in soggetti sia sani, sia con compromissioni cognitive di diversa gravità» sintetizza Iannoccari. «Partiamo dai sani. Ian Robertson (fondatore a Dublino del Trinity College Institute of Neuroscience), ha avviato lo studio NEIL (Neuro-Enhancement for Independent Life, vedi Hannigan et al. BMC Psychology (2015) 3:20), in cui 1000 persone sane di 50 anni e più saranno valutate ogni due anni per individuare i fattori decisivi di salute neuropsicologica, psicosociale, comportamentale, fisica.

«Robertson, caposcuola mondiale in questo settore, è co-direttore del Global Brain Health Institute, la cui sede principale è San Francisco. Tra gli studi a cui ha partecipato, resta classico il risultato del programma di training cognitivo, condotto su 3.000 soggetti sani tra i 65 e i 94 anni, nei quali 10 lezioni da un’ora a settimana, somministrati nell’arco di sei settimane, sono state in grado di “ringiovanire” di 7-14 anni attenzione, memoria, concentrazione, reattività ai problemi. Passiamo all’attività fisica: l’allenamento permette, persino a soggetti tra i 94 e i 102 anni, di aumentare la resa alla “leg-press”, passando da 2 a ben 12 kg. L’attività fisica funziona come quella cognitiva nel difendere il cervello: allenata in modo corretto, ne promuove la salute a tutte le età».

Che cosa è emerso nelle persone con cognitività già compromessa?
«Cito il classico Nun Study. In corso dal 1986, sta dimostrando che la stimolazione cognitiva può compensare persino i danni strutturali dell’Alzheimer. Le suore della Notre Dame School di Mankato (Minnesota, Usa), seguite da allora, donano post-mortem i loro cervelli alla scienza. Suor Mary fu la prima, nel 1991, in cui il brillante superamento dei test a 101 anni non coincise con i dati autoptici dell’anno successivo: il suo cervello mostrava infatti i classici segni della demenza, che però non aveva dato sintomi. Abbiamo anche dati italiani recentissimi: lo studio pubblicato quest’anno su Rejuvenation Research (Rejuv. Res. 2016 Apr 8. [Epub ahead of print]), condotto dall’INRCA di Ancona. Il training cognitivo è stato applicato per 3 anni a 300 soggetti oltre i 65 anni, con un confronto tra sani, o affetti da Alzheimer, o con MCI MIld Cognitive Impairment, cioè Disturbo Cognitivo di grado Lieve, forma pre-clinica di Alzheimer. Al termine dei 3 anni, il 70% dei soggetti con Alzheimer aveva migliorato memoria, linguaggio e orientamento; nel 50% dei casi di MCI era migliorata la percezione positiva sulle proprie capacità di memoria, che si correla direttamente con una minore probabilità di evoluzione della MCI in Azheimer. Nei soggetti sani, la percezione positiva aveva raggiunto percentuali ovviamente più elevate, fino all’81%».

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Allenare la mente: stili di vita ed esercizi


Anziani, la parola d’ordine è ‘cambiamento’. Ad iniziare dalla definizione stessa di ‘anziano’: è proprio l’Istat a dirlo, perché se convenzionalmente si fa corrispondere la popolazione dei nonni a partire dai 65 anni, nella realtà si diventa anziani, per la società, intorno ai 73 anni gli uomini e 75 anni le donne. Ma non solo. E’ cambiato il concetto di ‘anzianità’, anche dal punto di vista cognitivo: se fino alle generazioni degli anni ’60-’70 l’età dei capelli bianchi coincideva con la fine della vita, oggi, al contrario, è un periodo di opportunità, di seconde possibilità, di nuove avventure. E’ tutta una questione di somme e sottrazioni: con il passare degli anni cediamo qualcosa in termini di efficienza e velocità ma acquistiamo in maturità e analisi. I conti tornano. A patto che cambiamo anche passo nei confronti della cura della nostra mente e passiamo da ‘preoccuparcene’, temendo il peggio, ad ‘occuparcene’ quando ancora ha senso farlo.
Basta poco.

A partire dai 50 anni tutti aspirano a diventare anziani capaci di essere ‘giovani fuori’ ma soprattutto ‘giovani dentro’. L’idea di invecchiare e perdere colpi, fa paura. Ma se per accontentare lo specchio ci sono palestre, diete e ritocchini del chirurgo per la mente ci si rassegna a quello che sembra l’ineluttabile passare del tempo.
Il primo errore è proprio questo, credere che nulla si possa fare per fronteggiare l’invecchiamento cognitivo. Chiariamo una cosa: il cervello è un organo plastico, ovviamente subisce le lusinghe del tempo che passa, ma è in continua evoluzione. Se ce lo facciamo amico sarà il primo alleato nella lotta proprio al suo invecchiamento. A partire dai 28/30 anni – dopo il picco dell’efficienza mentale che si ha verso i 25 anni – si iniziano a perdere neuroni, circa centomila ogni giorno. Questo significa che ad ogni compleanno abbiamo perso l’1% della nostra efficienza mentale e, quindi, che a 50 anni quasi un quarto del nostro potenziale è rimasto dietro di noi. Ma se ci limitiamo a guardare il bicchiere mezzo vuoto e a disperarci senza fare nulla, mandiamo in fumo quell’enorme potenziale ancora intatto e che può essere un patrimonio da investire, per ‘vivere di rendita’ con il passare degli anni.

Quindi quella dei 50 anni è l’età ‘spartiacque’, quella in cui mandare anche la mente in palestra?
Per allenare la mente non è mai troppo presto. L’ideale sarebbe già nella scuola elementare introdurre come materia d’insegnamento ‘ginnastica mentale’ a fianco di educazione fisica. Così non solo si potrebbe costruire un solido bagaglio cognitivo ma anche una mentalità predisposta a lavorare su questi aspetti. Detto questo è evidente a tutti coloro che hanno spento le 50 candeline che si tratta di un’età importante, nella quale risultano più evidenti gli ‘acciacchi’ della memoria. Si tratta di piccoli incidenti che non devono far certo preoccupare ma che sono il segnale che è arrivato il momento di occuparci di noi. Cosa che in pochi fanno.

Perché si lavora molto sul fisico e così poco sulla mente? Eppure l’idea di diventare anziani non lucidi fa terrore a tutti.
E’ una questione culturale. All’estremo opposto del calendario della vita troviamo una grande attenzione per patologie come dislessia, autismo, iperattività. Spesso ci sono falsi positivi. Tutti cercando i segnali, vanno a caccia di sintomi. Al contrario per la demenza o l’Alzheimer si tende a sottovalutare, a pensare che siano inevitabili acciacchi dell’età. Se ne ha paura ma pensando che non ci sia nulla da fare – ad oggi in effetti non ci sono farmaci – ci si scherza su, quasi per esorcizzare. Non sentiamo mai fare una battuta sul cancro mentre è capitato a tutti davanti ad una dimenticanza dire: ‘Ho l’Alzheimer galoppante’.

Seconda parola d’ordine: occuparci e non preoccuparci, dunque. Ma come possiamo fare?
Ci sono tante regole, tanti consigli, moltissime strategie. Ma la prima, la più importante è: apprendere qualcosa di nuovo. A qualsiasi età. E’ questo l’esercizio migliore che possiamo far fare alla nostra mente. Oggi gli anziani, gli over 65 hanno un’opportunità enorme a portata di mano. Da apprendere dai loro nipoti: internet e i social. Vorrei dire a tutti i capelli bianchi: aprite un profilo facebook, imparate ad usarlo, ad interagire con gli altri. Imparate a mandare una mail, a navigare in internet, a scrivere un post su facebook. Ci vorrà tempo ma sarà divertente e stimolante. E’ un modo per alzarsi dal divano dove il rapporto con la televisione è passivo e diventare attivi, fare vita di ‘società’ appunto. Perché a differenza dei nipoti, nativi digitali e quindi abituati a subire passivamente la tecnologia, i nonni devono raccogliere la sfida e imparare una cosa nuova ed estranea alla loro mentalità. Apprendere qualcosa di nuovo è una grande spinta all’attivazione cognitiva, si stimola un arricchimento delle reti neurali. Ma internet è anche una finestra sul mondo che può aiutare un anziano a riscoprire una passione, a coltivare un interesse anche se non ha più la forza o la possibilità di uscire, di andare a pesca o di coltivare un orto. Può sempre leggere, vedere video, chiacchierare in rete. E’ l’uso virtuoso di internet. E quando avrà imparato bene ad usare facebook, si cimenti con altro e passi a twitter, a instagram o allo studio di una lingua straniera. Purché sia una nuova avventura.

Cybernonni: una bella sfida. Tutta da raccogliere. Perché in Italia solo una persona su 10 oltre i 65 anni usa le nuove tecnologie. Sono ‘appena’ 772 mila gli utenti abituali con i capelli bianchi contro gli 8 milioni e mezzo degli adulti tra i 35 e i 54 anni. Anche se quello dei cybernonni è un fenomeno in crescita: in dieci anni si è passati dall’1,3% al 17,6% nelle donne e dal 7,5% al 38,2% negli uomini. Quindi, avanti tutta e accendiamo i pc! E intanto che arrivano le connessioni nelle case cosa si può fare?
Io consiglio sempre 5 esercizi, semplici e adatti a tutti. Una cosa importante: non c’è un limite minimo di età. Prima si inizia e meglio è. Perché se da una parte l’avanzare degli anni ci priva di un potenziale cognitivo, dall’altra con l’esercizio lo rimpinguiamo. E’ così che i conti tornano.

Da oggi diciamo che le regole sono 6: la prima è accendere il pc e diventare social. Passiamo alla seconda.
Si tratta di esercizi semplici. Per due giorni scrivere - e ripeto scrivere- su un quaderno tutte le parole che iniziano con la A, il giorno dopo con la B e così via. Non serve stare ore davanti al quaderno, bastano dieci minuti. Quando si sono finite le lettere dell’alfabeto si rende l’esercizio via via più difficile: per esempio, tutte le parole che iniziano con AL e finiscono con una vocale, o tutte le parole che iniziano con la C e non contengono la R. Libero sfogo alla fantasia. Sarà divertente vedere che, durante la giornata quando meno ce lo aspettiamo, la mente tirerà fuori nuove parole. Perché per il cervello il gioco non finisce.

E ora alla numero 3.
E’ proprio il ‘gioco del 3’. Apprendere una notizia positiva e piacevole - magari grazie ad internet- e ripeterla a 3 persone differenti. La prima volta la racconteremo in modo più confuso, perché una cosa è conoscere e un’altra è sapere. La seconda volta saremo più precisi. La terza le informazioni mancanti le avremo recuperate, il discorso sarà più fluido e potremo dire di averla memorizzata. Se ogni giorno facciamo questo esercizio alla fine dell’anno avremo memorizzato 365 nuove conoscenze.

Quarto esercizio: è la volta dei giochi.
Scacchi, carte, sudoku: ad ognuno il suo. Gli scacchi sono in assoluto l’attività da preferire non solo perché richiedono concentrazione ma anche perché è un gioco aperto dove si sa cosa andrà a fare l’avversario. Giocare a carte è un buon esercizio purché non sia sempre lo stesso: una volta a burraco, un’altra a scopa e poi scala quaranta, briscola. E se il gioco non si conosce ancora meglio: impariamone uno nuovo. L’enigmistica è un discorso a parte. Fare le parole crociate è un buon esercizio ma richiede anche una preparazione culturale. Se una nozione non si sa può essere frustrante o addirittura al contrario annoiare. Gli esercizi mentali devono poter essere fatti da tutti indipendentemente dal titolo di studio. Ognuno deve affrontarli con le proprie capacità mentali e non con le proprie conoscenze.

Quinto esercizio: sovvertire le regole.
Lo dicevamo all’inizio: la parola d’ordine è cambiamento. Ci mettiamo sempre la crema con la mano destra? Per un po’ insegniamo alla sinistra a stenderla sul viso. Facciamo sempre la stessa strada? Cambiamo percorso. Gli esempi potrebbero essere infiniti. Cambiamo le regole, spezziamo la routine dei gesti. Sembra una banalità ma non lo è: per esempio cambiare mano dominante significa arricchire l’innervamento cerebrale della mano e, quindi, un arricchimento dei neuroni.

Sesto esercizio: la buonanotte.
Mi piace dire che è l’esercizio più romantico. La sera, a letto, prima di prendere sonno ripensare alla giornata trascorsa. Non per fare un bilancio o darsi un voto. Ma per ripassare le cose fatte, le persone viste. Per esempio: chi ho incontrato dal panettiere? L’ho mai vista prima quella persona? Aveva gli occhiali? Cosa ci siamo dette? E via via così. Questo esercizio è fondamentale perché mentre ricostruisco la giornata, ricostruisco la memoria a breve termine e la vado a posizionare nella casella della memoria a lungo termine. Durante il sonno il cervello archivia le informazioni che pensa siano per noi più importanti. Questo esercizio è particolarmente utile nelle persone anziane che vivono da sole o che soffrono di solitudine. Spesso hanno la sensazione che non succeda mai nulla di nuovo nella loro vita, che le giornate siano vuote e una uguale all’altra. Questo esercizio, invece, le farà rendere conto che ogni giorno porta dei piccoli o grandi cambiamenti. Magari una telefonata, un incontro diverso, una cosa osservata dalla finestra o in tv. Si riempie il tempo, ogni giorno si recupera un granello di memoria che si accumula, si stratifica e mi protegge dall’invecchiamento cerebrale.

Come ci aiutano questi esercizi?
Creano nuove connessioni a livello dei neuroni, riempiono la memoria, tengono in allenamento le capacità cognitive, insegnano al cervello cose nuove che riempiono gli spazi lasciati dai neuroni persi. Le lesioni dell’Alzheimer o la demenza senile non siamo in grado ancora di farle regredire ma possiamo fare in modo che i sintomi della malattia siano tenuti a bada.

Alla fine la domanda più temuta: in tanti ci dimentichiamo date e nomi. Alcuni sbagliano spesso strada, qualcuno mette in frigo un libro e in libreria la bottiglia del latte. Ma tutti quando questo avviene siamo presi dal panico. E allora: quali sono i campanelli d’allarme che ci devono far davvero temere il peggio?
Tutti perdiamo colpi. Soprattutto se siamo stanchi o stressati. Una dimenticanza o una distrazione possono succedere. E dobbiamo farci una risata sopra o magari capire che è arrivato il momento di staccare un po’ la spina. Al contrario, ci dobbiamo preoccupare quando perdiamo troppi colpi, quando questo avviene con una certa frequenza. Se una volta mentre guidiamo scopriamo di non sapere dove stiamo andando, ci sentiamo persi o smarriti (diverso da aver semplicemente sbagliato strada) possiamo anche far finta di nulla, ma la seconda no. Se spesso dimentichiamo le cose, non ricordiamo di aver fatto qualcosa o incontrato qualcuno allora è bene chiedere aiuto ad uno specialista. Magari è un falso allarme, magari no. Non sono i singoli segnali ma la frequenza con la quale si manifestano. E non c’è un’età a rischio. Perché noi crediamo che la demenza o l’Alzheimer siano malattie ‘da vecchi’ solo perché il picco massimo dei sintomi si ha tra gli 80 e i 90 anni. In realtà i primi segnali possono affacciarsi anche a 50 anni. Basti pensare che quando arrivano dopo i 60 anni si parla di ‘esordio tardivo’. Quindi non è mai troppo presto per ricordarsi della nostra mente.

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Allenare la mente: stili di vita ed eserciziIl cervello sano è goloso
di Mediterraneità e non solo


I neuroscienziati sono d’accordo: il 30% dei casi di demenza/compromissione cognitiva potrebbe essere prevenuta. Nessuna ricetta miracolosa, ripetono, ma il rispetto verso se stessi, che dovrebbe imporre di non fumare e dedicarsi piuttosto ad attività fisica, riposare il giusto, evitare di mettere su peso. Accanto allo stile di vita scorretto, a mettere a rischio il cervello sono la depressione, l’ipertensione e le conseguenze di cadute e traumi cranici. «Sul fronte alimentare, strettamente correlato al controllo del peso, la ricerca conferma: il cervello si mantiene in salute mangiando mediterraneo e, tutte le volte che si può, insieme ad altri». «La convivialità del consumo dei pasti è parte integrante della Dieta Mediterranea: agisce sul tono dell’umore, fa sì che si consumi il pasto mediterraneo con i tempi corretti per buona digestione e miglior senso di sazietà».

C’è un pasto di cui il cervello non può fare a meno?
«La prima colazione è il pasto fondamentale del cervello per tutta la vita» asserisce Iannoccari. «Con la prima colazione corretta, consumata secondo le linee-guida (latte/tè/caffè, yogurt, un frutto/spremuta fresca, cereali/biscotti/fette biscottate/pane e miele/marmellata) si rifornisce il cervello di energia sia pronta sia per le ore successive. Il messaggio sia: gli zuccheri vanno riservati al mattino, evitando aggiunte nelle bevande durante la giornata (lo zucchero di canna ha effetti identici a quello bianco) e il mangiucchiamento compulsivo di dolciumi e caramelle».

Oltre ai cibi per l’energia, quali sono gli alimenti che sostengono la maturazione di nuovi neuroni e la loro sopravvivenza?
«Tra alimenti mediterranei e neurogenesi/neuroplasticità/riserva cognitiva c’è un legame finalmente dimostrato. Nel 2014, sull’American Journal of Preventive Medicine (Am J Prev Med. 2014 Oct;47(4):444–51) è stata pubblicata una review in cui si dimostra l’associazione tra consumo regolare di olio extravergine di oliva (ricco di polifenoli), pesce (salmone, pesce azzurro, merluzzo) ricco di omega-3, frutta secca a guscio, anch’essa ricca di acidi grassi polinsaturi. Anche la colina, un coenzima che sostiene la struttura dei neuroni e il traffico di informazioni nervose, si trova in alimenti mediterranei come le uova, il germe di grano e i semi di girasole. Broccoli, cavoli, cavolfiori forniscono vitamina C e acido folico dai primi tre, mentre gli spinaci sono ricchi di luteina (antiossidante). I mirtilli (e in generale i frutti di bosco), infine, forniscono antocianine e cianidine, che contrastano l’aggressività dei radicali liberi a effetto ossidante».

Caffè e cioccolato fondente: che cosa aggiungono alla mediterraneità?
«La caffeina è il componente del caffè che agisce su attenzione e memoria, mentre la presenza di acido caffeico ha funzione antinfiammatoria. Il cioccolato fondente (almeno il 70%) ha dimostrato di proteggere la cognitività nel tempo, anche a dosi veramente ridotte: un quadratino da 10 g al giorno (studio italiano CoCoA, condotto all’Università de L’Aquila dal gruppo di Davide Grassi, coinvolgendo soggetti anziani)».

Versante integrazione: quali sono le evidenze raccolte finora?
«Sappiamo che le membrane dei neuroni hanno bisogno di fosfatidilcolina per funzionare a dovere; sappiamo che la vitamina E è un ottimo antiossidante; abbiamo dimostrazioni di attività antiossidante di un potente carotenoide, l’astaxantina, che l’organismo umano non sa produrre, ma che una microalga d’acqua dolce, lo Haematococcus pluvialis, sintetizza in grandi quantità per difendersi dagli stress ambientali. Ancora: delle aree tropicali viene la Bacopa monnieri, utilizzata dalla medicina tradizionale come antiossidante e anti-radicalico mirata sulle aree della memoria: ippocampo, corteccia frontale e nucleo striato. L’associazione di queste molecole, disponibile in dosi bilanciate come integratore, ha dimostrato (Zanotta D et al. Neuropsychiatr Dis Treat 2014; 10: 225-30) di riuscire a contrastare sia il declino cognitivo fisiologico, indotto dal passare degli anni, sia il declino caratteristico del Mild Cognitive Impairment o MCI, che è considerato la forma iniziale (preclinica) di demenza di Alzheimer».

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Le ore migliori per allenare i neuroni
con le risorse sul territorio e in rete


IFM n.36 ottobre 2016.
Ci sono ore migliori per l’allenamento muscolare, così come ci sono le ore giuste per allenare i neuroni. Ma l’allenamento, per i muscoli e per i neuroni, funziona soltanto se si applicano gli esercizi corretti. Lo conferma Giuseppe Alfredo Iannoccari, Presidente di Assomensana in occasione 9ª Edizione nazionale della "Settimana di Prevenzione dell'Invecchiamento Mentale", che si svolgerà in tutta Italia dal 19 al 24 settembre 2016 (con l’alto patrocinio del Ministero della Salute) durante la quale l’Associazione metterà a disposizione degli iscritti più di 350 specialisti psicologi, neurologi e geriatri che offriranno una valutazione gratuita per rilevare le condizioni cognitive di ogni soggetto e forniranno consigli utili per ostacolare il decadimento mentale. www.assomensana.it

Mai prima delle 9.00 e no nell’intervallo pranzo o alla sera.
«Per allenare i neuroni è inutile sottrarre ore al sonno del mattino, o cercare di impegnarsi durante l’intervallo-pranzo o dopo cena» precisa Iannoccari. «Prima delle 9.00 i bioritmi fisiologici parlano chiaro: il cervello ha bisogno di tempo per carburare e ha bisogno della prima colazione per immagazzinare l’energia che serve all’attenzione, all’organizzazione delle informazioni e alla memorizzazione. Simile il discorso per l’intervallo-pranzo: qui il calo degli zuccheri si fa sentire, qualunque sia stata la nostra attività (scuola, lavoro alla scrivania o manuale). Bisogna fare una sosta priva di stimoli e introdurre nuovo carburante. Il cervello è in grado di rispondere alle sollecitazioni di nuovi esercizi mirati dopo le 15.00, ma ha di nuovo bisogno di riposo dopo le 19.00». Conclusione: «Gli intervalli temporali corretti per “allenare” la cognitività sono compresi tra le 9.00 e le 12.00 e tra le 15.00 e le 19.00».

Quali sono le risorse sul territorio e sul web per proseguire l’allenamento cognitivo dopo la SPIM?
«Assomensana (www.assomensana.it) ha una rete di 16 centri in tutta Italia, a cui ci si può rivolgere per concordare un’attività di stimolazione cognitiva personalizzata» conferma Iannoccari. «Ma chi non può recarsi fisicamente in uno dei nostri centri territoriali, ha la risorsa del web. Sul sito www.mentathlon.it sono a disposizione di tutti, modulati secondo le età e la progressione dell’impegno, gli allenamenti proposti da Mensana Jones, il personaggio creato per condurre gli allenamenti attraverso un percorso di gioco in 10 città. Grazie a Mentathlon abbiamo organizzato due edizioni di “Olimpiadi della mente”; il terzo appuntamento si terrà l’anno prossimo, per celebrare correttamente la decima edizione della Settimana di Prevenzione. Quest’anno, in occasione della nona edizione della SPIM, sarà lanciato invece un software a pagamento, che, grazie a un abbonamento mensile, offrirà agli aderenti allenamenti in grado di potenziare i vari distretti cerebrali, mirati area per area».




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